Sweet&Wet: “L’Aspettativa” – capitolo 3

I Diari di Casanova vi presenta in esclusiva Sweet&Wet e il suo secondo racconto erotico “L’Aspettativa”, in anteprima
Sweet&Wet vive e lavora in una città media, di medie dimensioni, portici e tradizioni.
Il suo è un lavoro come un altro, in un ufficio come un altro. Quando la sera Sweet&Wet esce dal lavoro corre a casa, prepara la cena e trascorre il tempo con il marito e con il cane. E’ un’ottima cuoca, le piace sperimentare e abbonda con le spezie.
Sweet&Wet compra e legge montagne di libri, appunta citazioni, scrive continuamente e chiude nel cassetto le sue storie.
Se la incroci per la strada, Sweet&Wet ti osserva, ti scruta. Ha già in mente un racconto per te. E abbonderà con le spezie anche in questo caso.
©Sweet&Wet

Ufficio stampa
Carlo Dutto
carlodutto@hotmail.it

 

Lorenzo era Pugliese, non era mai stato in Piemonte prima di allora. Avevano scherzato tutta la sera sulla differenza dei propri accenti, dei propri modi di dire. Luisa trovava intrigante quella sua parlata bizzarra, quel suo modo di pronunciare le vocali.

Quella sera si erano salutati dicendosi a vicenda che era stata una bella serata, che era stato “davvero un piacere”, e per quasi un anno avevano lavorato sentendosi al telefono ad ogni occasione, sbrodolando le conversazioni per trascorrere in compagnia l’uno dell’altra più tempo possibile. Durante i lunghi tragitti in macchina che Lorenzo affrontava quotidianamente, in giro per clienti e rivenditori e punti vendita, la telefonata a Luisa, dall’altra parte dell’Italia, seduta a una scrivania di fronte al solito schermo, al solito lavoro, le cuffiette da centralinista a comprimerle il cervello e una voglia fortissima quanto indefinita di evasione, era diventato un appuntamento che dava sapore alla giornata, un raggio di sole e di allegria nella routine e nel traffico.

Ma poi il gioco si era fatto più sottile, eppure al tempo stesso più esplicito. Il tono delle loro conversazioni si era fatto più intimo e un giorno, senza preavviso, Lorenzo si era ritrovato a dire a Luisa tutto ciò che la sua immaginazione aveva partorito nel corso di quei mesi, quando la sera, solo nelle stanze degli alberghi lungo i tragitti, in città aliene che lo accoglievano con la falsità del commercio e della chiusura dei contratti ma che lo lasciavano, in fondo, sempre solo, pensando alla scollatura che Luisa indossava la sera della cena, ricordando la linea dei fianchi stretti nel tubino nero e l’accavallatura casuale della gamba, lo stivale nero, si ritrovava a immaginare passo passo di aprire una zip, o sfilare una spallina, o di risalire piano piano con la mano la linea di una coscia, di affondare il viso in mezzo al seno.

E Luisa non aveva finto stupore, non si era offesa come Lorenzo a tratti aveva quasi temuto, non si era tirata indietro fingendosi scandalizzata ed anzi, gli aveva confessato quanto anche lei avesse immaginato, in tutti quei mesi , le stesse identiche cose.

“Non mi devo sentire in colpa, allora?” le aveva detto Lorenzo.

“Direi di no…” gli aveva risposto Luisa.

“E posso continuare ad immaginare?” aveva chiesto lui.

Ed era così che era andata, e Luisa, che quel giorno aveva preso ferie per preparare una cena impegnativa – aveva invitato genitori e zii e ci teneva particolarmente a fare bella figura, aveva cercato ricette per una settimana e si sarebbe lanciata in esperimenti culinari – si era ritrovata paralizzata ad ascoltare la voce di Lorenzo, suadente e audace allo stesso tempo, implacabile. Non era in grado di dire nulla, non era in grado di ribattere ma ogni volta in cui Lorenzo le chiedeva “devo smettere?” lei rispondeva di no.

“No… continua…”

E Lorenzo aveva continuato, e quello che era un bacio sfiorato era diventato lingua su ogni parte del corpo, e quello che era accarezzare la pelle e sentirne il profumo era diventato morsi e unghie nella carne, e quello che era immaginazione aveva preso il sopravvento in modo tanto travolgente che Lorenzo aveva dovuto fermare la macchina, accostarsi, smettere ogni cosa che non fosse immaginare, chiudere gli occhi e continuare a parlare e dire a Luisa ogni cosa avesse in mente per lei.

E quando Luisa gli aveva confessato di impazzire, quando gli aveva confessato l’effetto che le sue parole avevano su di lei, tra le sue gambe, nelle sue mutandine, Lorenzo le aveva chiesto di lasciarsi andare.

“Voglio che ti tocchi,” le aveva detto “voglio che mi ascolti e che ti tocchi per me…”

E Luisa aveva detto ok, sopraffatta, incapace di resistere, ipnotizzata dalla profondità della voce di Lorenzo, ipnotizzata dall’intensità della sua voce.

“Fallo con me…” gli aveva risposto “Esplodi con me…”

Ed era ciò che era successo. In quella cucina, le uova pronte sul bancone per essere rotte e mescolate alla farina, la buccia di un limone grattata a metà, il burro sciolto che si sarebbe riaddensato mano a mano nel frattempo. Ingredienti sparpagliati sui ripiani di lavoro che Luisa avrebbe dimenticato, che non avevano alcuna importanza, ora, che non contavano nulla in confronto a ciò che Luisa e Lorenzo stavano vivendo.

Luisa si era accarezzata piano, le dita della mano destra bagnate del suo stesso piacere, si era accarezzata piano mentre la voce nell’auricolare le ripeteva frasi sussurrate, inviti e gemiti e preghiere, si era lasciata andare sospirando appena, immaginando il movimento della mano di Lorenzo, riverso sul sedile della propria auto, nascosto nel parcheggio dell’autogrill dietro a una fila di camion, laggiù in fondo dove era certo che non sarebbe passato nessuno e nessuno avrebbe potuto vederlo. Lo immaginava così, il proprio sesso nella mano destra, gli occhi chiusi a sua volta. Ed era un pensiero che si sdoppiava, in qualche modo, poiché incredibilmente, inspiegabilmente, Luisa sentiva le proprie dita affondare al’interno del proprio corpo come se fosse il sesso di Lorenzo ad affondare in lei, e quando Lorenzo le diceva “Lo senti dentro” e “Lo senti quanto spingo” era Lorenzo che lei immaginava di avere dentro di sé, e rivedeva i suoi occhi, il suo sguardo intenso su di sè, come se fosse reale, come se stesse accadendo realmente.

Quel giorno avevano goduto insieme, nell’immaginazione l’uno dell’altra, sentendosi vicini e uniti nonostante li separassero centinaia di chilometri, e quando Luisa aveva ascoltato l’orgasmo di Lorenzo, il suo “Oh Dio” ripetuto e quasi urlato, l’intensità del momento che traspariva in modo chiaro attraverso i chilometri e l’etere l’avevano fatta tremare di emozione, ed il proprio orgasmo, quasi silenzioso, l’aveva lasciata sull’orlo delle lacrime, in preda ad un languore che non sapeva definire, che non sapeva spiegare.

Erano rimasti in silenzio a lungo, dopo. I propri umori sulle mani, i respiri più calmi. In silenzio ascoltando il respiro l’uno dell’altra.

Continua martedì prossimo!!!

 

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