Kim Ki-duk vince a Venezia con morbosità, crudeltà e vendetta

Incestuoso, forte, passionale e gelido, straordinario nella forza visiva di una periferia lontana nel tempo ma ancora reale, fatta di piccole baracche e di disperazione, vendicativo, crudele, attoce:
il nuovo capolavoro di Kim Ki-duk, ‘Pietà’, ha sbaragliato la concorrenza all’ultimo Festival del Cinema di Venezia, conquistando il Leone d’oro e convincendo pubblico e critica.

Una storia forte quella del film del regista coreano, che già in passato aveva trafitto con pellicole massacranti e dolorose, a raccontare qui la storia di uno strozzino senza pietà, devoto solo al dio denaro, che storpia i clienti per i soldi dell’assicurazione, e che verrà turbato solamente dalla comparsa di una donna che rivelerà d’esserne la madre, sconvolgendo così la sua esistenza in un vortice di emozioni ed affetto sconcertanti e nuovi per il protagonista, dopo 30 anni di solitudine.

A condire il nuovo capolavoro di Kim Ki-duk ci sono scene forti celebrate da colori algidi e rossi insieme, i godibili silenzi delle rare battute dei protagonisti, un’ambientazine antica e dolorosa, lavoratrice e silente, e scene di fame e sesso, come essenze esistenziali e necessità, tra il cibarsi selvaggio e la masturbazione nel sonno, fino ad una scena in cui persino l’incesto la fa’ da padrone.

Follia? Esagerazine? O solo realismo?
Il dio denaro porta l’uomo alla tragedia, e Kim Ki-duk ne dipinge conseguenze, pietà, pene e vendette.

 

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